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Informazioni utili

L'amministratore ha la facoltà di promuovere azioni legali anche senza il consenso dell'assemblea

(21/05/2010) Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2010, n. 1011
Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all'edificio condominiale. Ne consegue che ciascun condomino ?legittimato ad impugnare personalmente, anche per cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ove non vi provveda l'amministratore.

 

ICI dovuta anche per gli immobili non condonati e privi del certificato di abitabilità

 (22/02/2010) Corte di Cassazione - Sez. Tributaria - Sent. del 28/01/2010, n. 1850
 Un immobile abusivo, privo del certificato di agibilità e non ancora condonato è soggetto al pagamento dell'imposta comunale     sugli  immobili.
Infatti la Corte ha stabilito che ai fini dell'imposizione della tassa sui rifiuti è sufficiente che l'immobile risulti occupato nel territorio in cui il Comune gestisce il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

 

Vendita di immobile privo di licenza di abitabilità risoluzione del contratto e risarcimento danni

(22/09/2009)Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1701
Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile. La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità  amministrativa dell'immobile.

 

L'aliquota Ici agevolata per l'abitazione principale si applica anche con due unità immobiliari

(
24/02/2009)Cass. civ., sez. V, 29 ottobre 2008, n. 25902
Ai fini dell'applicabilit?dell'imposta comunale sugli immobili, La Suprema Corte, attraverso la sentenza in esame ha disposto che, il contemporaneo utilizzo di più di un'unità catastale come abitazione principale non costituisce ostacolo all'applicazione, per tutte le unità coinvolte, dell'aliquota prevista per l'abitazione principale.
 
Pertanto l'aliquota Ici agevolata per l'abitazione principale si applica anche con due unità immobiliari, distintamente accatastate, purchè per entrambe vi sia l'utilizzo come dimora abituale da parte del contribuente.
 
Per i giudici la definizione di abitazione principale ( rigettando la risoluzione 6/2002 del Dipartimento per le politiche fiscali) non richiede l'unicità del fabbricato, quanto la sussistenza della specifica destinazione d?uso agevolata.
 
Unico limite all'agevolazione è costituito dal fatto che il complesso immobiliare non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma (la prova del) l'effettiva utilizzazione ad abitazione principale dell'immobile complessivamente considerato.
 
Di conseguenza, tale principio dovrebbe valere anche agli effetti dell?esenzione Ici prevista per l' abitazione principale dal periodo di imposta 2008 dal D.L. n.93/08.

 

Non è illegittimo il rifiuto dell'amministratore di inserire nell'ordine del giorno gli argomenti richiesti da alcuni condomini

(17/03/2009)Cass. civ. Sez. II, sentenza del 31 ottobre 2008 n. 26336

In tema di poteri dei condomini con riguardo all'assemblea condominiale, non vi è alcuna disposizione di legge che obblighi l'amministratore ad inserire all'ordine del giorno gli argomenti proposti da singoli condomini;
poichè il codice civile prevede, all'art. 66 disp. att., che due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio, possono chiedere all'amministratore la convocazione di una assemblea straordinaria, ovvero possono provvedervi direttamente in caso di mancato adempimento alla richiesta, deve ritenersi che alle medesime condizioni possa anche essere richiesto in modo vincolante all'amministratore di inserire argomenti all'ordine del giorno di una assemblea già convocata.
 
Al di fuori di dette condizioni, non sussiste un diritto del singolo condomino ad imporre la trattazione di questioni in sede assembleare, ferma restando la tutela giurisdizionale del condomino nelle ipotesi di disfunzioni dell'organo amministrativo o decisionale del condominio".

 

 

Le frasi offensive pronunciate in sede di assemblea condominiale possono configurare il reato di ingiuria aggravata

(11/03/2010)Cassazione penale , sez. V, sentenza 09/02/2010 n. 5339

Il mero contesto dell'assemblea condominiale, per quanto infuocato, non può di per sè dare corpo alla causa di non punibilità della reciprocità delle offese o dello stato d'ira per un fatto ingiusto altrui, dal momento che l'una o l'altra delle situazioni può o può anche non verificarsi in un contesto del genere.

 

Omessa esecuzione di lavori in edifici che minacciano rovina, esclusione della responsabilità dell'amministratore
Cass. pen., sez. IV, 3 aprile 2008, n. 13934
Il destinatario dell'obbligo di provvedere ai lavori necessari, in tema di omessa esecuzione di lavori in edifici che minacciano rovina, per rimuovere il pericolo è il proprietario dell'immobile o colui che, per fonte legale o convenzionale, sia tenuto alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio, ma non l'amministratore del condominio, sul quale non incombono obblighi di questo genere essendogli attribuita soltanto la gestione delle cose comuni.

 

Stendere i panni in condominio. I limiti contenuti nel codice civile, nel regolamento di polizia urbana ed in quello di condominio. Come tutelarsi

(14/09/2010)
E’ cosa usuale che i condomini stendano i panni all’esterno del proprio balcone. Tale operazione è effettuata o tramite l’avvicinamento e l’esposizione dello stendino mobile al bordo del balcone oppure, è un’ipotesi molto ricorrente, tramite il fissaggio alla ringhiera del balcone stesso di stendibiancheria che sporgono al di fuori della proprietà esclusiva.
 
Sciorinare i panni in questo modo, molte volte, soprattutto per i condomini che al piano terra hanno un giardino o un cortile di proprietà esclusiva, è causa di fastidio e conseguentemente d’impossibilità di fruire appieno delle pertinenze della propria unità immobiliare.
 
La domanda, pertanto, sorge spontanea: è tutto lecito? Che cosa fare per verificarlo?
 
Per comprendere al meglio a quali norme bisogna fare riferimento è utile citare una sentenza datata maggio 2007 della Suprema Corte di Cassazione.
 
I giudici di legittimità hanno evidenziato che lo “
stillicidio, sia delle acque piovane, sia, ed a maggior ragione, di quelle provenienti (peraltro con maggiore frequenza) dall'esercizio di attività umana,quali quelle derivanti dallo sciorinio di panni mediante sporti protesi sul fondo alieno (pratiche comportanti anche limitazioni di aria e luce a carico dell'immobile sottostante), per essere legittimamente esercitato, debba necessariamente trovare rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù ad hoc o, comunque, ove connesso alla realizzazione un balcone aggettante sull'area di proprietà del vicino, essere esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale” (Cass. 28 maggio 2007 n. 7576).
 
In primi luogo, quindi le norme generali cui fare riferimento sono quelle dettate in materia di stillicidio. Esse, non prevedono in alcun modo un riconoscimento generale del diritto a sciorinare i panni. Una simile facoltà può essere riconosciuta solamente tramite la concessione di una servitù. Quest’ultima non è prevista
ex lege ma può solamente essere concessa solo dal proprietario del fondo servente che, volontariamente, potrebbe decidere d’assoggettarsi allo scolamento dei panni stesi ad asciugare da parte del proprietario del piano superiore. In primo luogo quindi è consigliabile consultare l’atto d’acquisto ed il regolamento di condominio. Quest’ultimo che solamente se di natura contrattuale può essere titolo idoneo a riconoscere e disciplinare tale diritto di sciorinio dei panni. In ogni caso l’esercizio prolungato nel tempo ed incontestato di una simile pratica può portare all’usucapione della servitù. Oltre che degli atti è quindi necessario avere contezza dello stato dei luoghi e della prassi invalsa nel lungo periodo.
 
Un limite ulteriore può essere previsto dai regolamenti di polizia locale del comune in cui è ubicato l’immobile. Molti regolamenti, soprattutto per ciò che concerne sciorinio e sbattimento dei panni sui prospetti che si affacciano sulla pubblica via, vietano tali pratiche, per ragioni di decoro urbano, o meglio le limitano a determinati orari della giornata. In questi casi, anche se sussiste una servitù nel senso sopra specificato il proprietario del fondo dominante non potrà stendere i panni se non alle condizioni previste in questo regolamento.
 
Che può fare il soggetto che ritiene di essere danneggiato dalla condotta illecita altrui?
 
In primo luogo, per corroborare il proprio convincimento, dovrà verificare che in nessuno degli atti succitati ossia atto d’acquisto e regolamento condominiale contrattuale) sia riconosciuto l’esercizio di una simile facoltà. In secondo luogo prendere informazioni sulla prassi (se ad esempio il trasferimento nell’unità immobiliare oggetto dello sgocciolamento è recente) al fine di comprendere se possa essersi in saturata una servitù. Successivamente sarà utile consultare il regolamento di polizia urbana per constatare l’eventuale violazione di norme in esso contenute.
 
Solo dopo queste verifiche e solamente se l’interessato riscontrerà delle irregolarità nella condotta, egli potrà contestarle tramite una formale diffida a evitare comportamenti illeciti e per quanto di loro competenza anche per mezzo di una segnalazione alla polizia municipale (autorità tenuta a far rispettare il regolamento di polizia urbana).

 

Contratto di assicurazione contro i danni stipulato dal condominio, richiesta indennizzo

(11/03/2010)Trib. Modena, sentenza del 3 novembre 2009 n. 1574
Riguardo al contratto di assicurazione contro i danni stipulato dal condominio, i condomini sono terzi tra loro e di conseguenza non sono legittimati a richiedere l'indennizzo alla Compagnia assicurativa.

 

Il divieto di tenere animali nelle abitazioni private e nelle parti comuni

(20/04/2011)

Secondo la Cassazione (Sent. n. 3705 del 15/12/2011) il divieto, contenuto in un regolamento contrattuale, di tenere animali nelle abitazioni private e nelle parti comuni costituisce una clausola di natura contrattuale che pone una servitù reciproca tra i condòmini e, pertanto, può essere modificata solo all'unanimità atteso che è inibito all'assemblea decidere a maggioranza.
 
La decisione della S.C. ha cassato la sentenza della Corte d'Appello di Bari che, al contrario, aveva ritenuto la clausola di natura assembleare e, pertanto, modificabile da parte dell'assemblea.
 
Nella specie, il giudice di merito era giunto a tale conclusione sulla base del presupposto che la disposizione era stata prevista al fine di un migliore godimento delle parti comuni e non presentava, pertanto, natura reale di servitù negativa.
 
In relazione al regolamento contrattuale nonostante sussista, tra i più, la convinzione che non sia modificabile che con l'unanimità dei consensi, in realtà la Cassazione (da ultimo, Sent. n. 17694/07) è orientata nel senso che solo le clausole di natura contrattuale (contenenti divieti, limiti, oneri reali, obbligazioni propter rem e diritti reali) necessitino dell'unanimità mentre per le altre clausole relative a materie contenute nell'art. 1138 c.c. (decoro, norme sull'amministrazione ecc. uso delle parti comuni) sia sufficiente la maggioranza qualificata ancorché le clausole stesse siano contenute in regolamento di origine contrattuale.
 
In particolare, sono da considerarsi clausole di natura contrattuale quelle che pongano dei limiti all'uso delle unità immobiliari esclusive o pongano divieti all'uso delle parti comuni, ciò in quanto è inibito all'assemblea porre dei divieti ai condomini anche sulle parti comuni poiché l'assemblea può solo disciplinare l'uso, per un migliore godimento, ma non impedirlo.
 
E' da rilevare che, talvolta, appare difficile individuare la natura di una clausola, ovvero se si tratti di una disposizione regolamentare, dettata al fine di disciplinare l'uso delle parti comuni, o si tratti, al contrario, di una clausola contrattuale che ponga dei vincoli all'uso delle parti private e comuni, soprattutto nelle ipotesi in cui il vincolo cada sull'uso delle parti comuni.
 
In effetti, qualora il limite a tenere animali fosse stato circoscritto alle parti comuni la norma avrebbe potuto assumere connotazione regolamentare e presentare, pertanto, natura equivoca, mentre la sua estensione alle abitazioni private ne fa assumere sicura natura reale.
 
Normalmente, l'interpretazione delle clausole del regolamento, che costituisce, a tutti gli affetti, un contratto, è demandata al giudice di merito, per cui la Cassazione può intervenire solo in caso di illogica motivazione; nel caso in esame la Corte, forse andando al di là dei suoi poteri, ha direttamente interpretato la disposizione sulla base di una censura del ricorrente (contestuale violazione di legge e illogica motivazione) che, di norma, implica l'inammissibilità del motivo. E' da rilevare, inoltre, che la clausola di natura contrattuale pone limiti anche nei confronti del conduttore, il quale è tenuto ad uniformarsi al regolamento ed il locatore che non agisca nei confronti dell'inquilino che violi la norma ne risponde di fronte al condominio (Cass. 11383/06) che può ottenere il risarcimento del danno nei confronti del condòmino-locatore.

Balconi in condominio: il sottobalcone è parte comune.

Il Tribunale di Novara, con una sentenza datata 29 aprile 2010, si occupa di balconi e più nello specifico di balconi di pertinenza di un’unità immobiliare ubicata in condominio e di individuazione delle parti comuni dello stesso.

Secondo il magistrato piemontese anche “le spese relative ai sottobalconi debbono essere poste a carico di tutti i condomini poiché gli stessi vanno considerati una parte condominiale in quanto visibili dall'esterno dell'edificio e, quindi, con funzione decorativa ed estetica per l'intero fabbricato” (Trib. di Novara 29 aprile 2010).

La pronuncia, letta solo in questa sua estrema sintesi non manca di suscitare alcune perplessità.

La Cassazione, nelle sue più recente pronunce, si era orientata nel riconoscere la condominialità dei sottobalconi solo in quelle ipotesi in cui sugli stessi fossero presenti dei fregi decorativi tali da incidere sull’estetica del fabbricato.

Secondo il giudice novarese, invece, i sottobalconi dovrebbero essere considerati sempre e comunque parti comuni in quanto visibili dall’esterno dell’edificio e pertanto aventi in re ipsa funzione decorativa.

In questo contesto, salvo diverso accordo tra le parti, le spese di rifacimento del sottobalcone dovranno essere ripartite tra tutti ai sensi del primo comma dell'art. 1123 c.c. (millesimi di proprietà).

Una presa di posizione che per quanto legittima non convince fino in fondo.

Posto che si decida di fabbricare un edificio con balcone aggettanti, è davvero possibile  ritenere che per questo sol fatto la parte inferiore (magari senza alcuna particolare caratteristica) possa essere considerata parte comune dello stabile?

Così fosse si dovrebbe arrivare a concludere che anche la responsabilità per la manutenzione di tutto il balcone, ad eccezione della piano di calpestio, debba essere posta in capo al condominio.La pronuncia proviene da un giudice di merito quindi sicuramente la sua forza vincolante è meno “invasiva” rispetto a quella di una pronuncia di Cassazione, tuttavia è utile prendere in considerazione tale sentenza non fosse altro perché, in primo luogo ha risolto un caso concreto e poi perché può rappresentare un precedente su cui si potrà basare e sviluppare una nuova visione, più netta e precisa, della condominialità dei balconi.