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Informazioni utili
In tema di poteri dei
condomini con riguardo all'assemblea condominiale, non vi è alcuna disposizione di legge che obblighi l'amministratore
ad inserire all'ordine del giorno gli argomenti proposti da
singoli condomini;
poichè il codice civile prevede, all'art. 66 disp. att., che
due condomini che rappresentino un sesto del valore
dell'edificio, possono chiedere all'amministratore la
convocazione di una assemblea straordinaria, ovvero possono
provvedervi direttamente in caso di mancato adempimento alla
richiesta, deve ritenersi che alle medesime condizioni possa
anche essere richiesto in modo vincolante all'amministratore
di inserire argomenti all'ordine del giorno di una assemblea
già convocata.
Al di fuori di dette condizioni, non sussiste un diritto del
singolo condomino ad imporre la trattazione di questioni in
sede assembleare, ferma restando la tutela giurisdizionale
del condomino nelle ipotesi di disfunzioni dell'organo
amministrativo o decisionale del condominio".
Il mero contesto dell'assemblea condominiale, per quanto infuocato, non può di per sè dare corpo alla causa di non punibilità della reciprocità delle offese o dello stato d'ira per un fatto ingiusto altrui, dal momento che l'una o l'altra delle situazioni può o può anche non verificarsi in un contesto del genere.
Omessa esecuzione di lavori in edifici che minacciano rovina,
esclusione della responsabilità dell'amministratore
Cass. pen., sez. IV, 3 aprile 2008, n. 13934
Il
destinatario dell'obbligo di provvedere ai lavori necessari,
in tema di omessa esecuzione di lavori in edifici che
minacciano rovina, per rimuovere il pericolo è il
proprietario dell'immobile o colui che, per fonte legale o
convenzionale, sia tenuto alla conservazione o alla
vigilanza dell'edificio, ma non l'amministratore del
condominio, sul quale non incombono obblighi di questo
genere essendogli attribuita soltanto la gestione delle cose
comuni.
Secondo la Cassazione (Sent. n. 3705 del
15/12/2011)
il
divieto, contenuto in un regolamento contrattuale,
di tenere animali nelle abitazioni private e nelle
parti comuni costituisce una clausola di natura
contrattuale che pone una servitù reciproca tra i
condòmini e, pertanto, può essere modificata solo
all'unanimità atteso che è inibito all'assemblea
decidere a maggioranza.
Il
Tribunale di Novara, con una sentenza datata 29
aprile 2010,
si occupa di balconi e più nello specifico di
balconi di pertinenza di un’unità immobiliare
ubicata in condominio e di individuazione delle
parti comuni dello stesso.
Secondo il magistrato piemontese anche “le spese
relative ai sottobalconi debbono essere poste a
carico di tutti i condomini poiché gli stessi vanno
considerati una parte condominiale in quanto
visibili dall'esterno dell'edificio e, quindi, con
funzione decorativa ed estetica per l'intero
fabbricato” (Trib.
di Novara 29 aprile 2010).
La pronuncia, letta solo in questa sua estrema
sintesi non manca di suscitare alcune
perplessità.
La Cassazione, nelle sue più recente pronunce, si
era orientata nel riconoscere la condominialità dei
sottobalconi solo in quelle ipotesi in cui sugli
stessi fossero presenti dei fregi decorativi
tali da incidere sull’estetica del fabbricato.
Secondo il giudice novarese, invece, i sottobalconi
dovrebbero essere considerati sempre e
comunque parti comuni in quanto visibili
dall’esterno dell’edificio e pertanto aventi in
re ipsa funzione
decorativa.
In questo contesto, salvo diverso accordo tra le
parti, le spese di rifacimento del sottobalcone
dovranno essere ripartite tra tutti ai sensi del
primo comma dell'art. 1123 c.c. (millesimi
di proprietà).
Una presa di posizione che per quanto legittima
non convince fino in fondo.
Posto che si decida di fabbricare un edificio con
balcone aggettanti, è davvero possibile ritenere
che per questo sol fatto la parte inferiore
(magari senza alcuna particolare caratteristica)
possa essere considerata parte comune dello stabile?
Così fosse si dovrebbe arrivare a concludere che
anche la responsabilità per la manutenzione
di tutto il balcone, ad eccezione della
piano di calpestio, debba essere posta in capo al
condominio.La pronuncia proviene da un giudice di
merito quindi sicuramente la sua forza
vincolante è meno “invasiva” rispetto a quella di
una pronuncia di Cassazione, tuttavia è
utile prendere in considerazione tale sentenza non
fosse altro perché, in primo luogo ha risolto un
caso concreto e poi perché può rappresentare un
precedente su cui si potrà basare e sviluppare una
nuova visione, più netta e precisa, della
condominialità dei balconi.
La decisione della S.C. ha cassato la sentenza della
Corte d'Appello di Bari che, al contrario, aveva
ritenuto la clausola di natura assembleare e,
pertanto, modificabile da parte dell'assemblea.
Nella specie, il giudice di merito era giunto a tale
conclusione sulla base del presupposto che la
disposizione era stata prevista al fine di un
migliore godimento delle parti comuni e non
presentava, pertanto, natura reale di servitù
negativa.
In relazione al regolamento contrattuale nonostante
sussista, tra i più, la convinzione che non sia
modificabile che con l'unanimità dei consensi, in
realtà la Cassazione (da ultimo, Sent. n. 17694/07)
è orientata nel senso che solo le
clausole di natura contrattuale (contenenti
divieti, limiti, oneri reali, obbligazioni propter
rem e diritti reali) necessitino dell'unanimità
mentre per le altre clausole relative a materie
contenute nell'art. 1138 c.c. (decoro, norme
sull'amministrazione ecc. uso delle parti comuni)
sia sufficiente la maggioranza qualificata ancorché
le clausole stesse siano contenute in regolamento di
origine contrattuale.
In particolare, sono da considerarsi clausole di
natura contrattuale quelle che pongano dei limiti
all'uso delle unità immobiliari esclusive o pongano
divieti all'uso delle parti comuni, ciò in quanto è
inibito all'assemblea porre dei divieti ai condomini
anche sulle parti comuni poiché l'assemblea può solo
disciplinare l'uso, per un migliore godimento, ma
non impedirlo.
E' da rilevare che, talvolta, appare difficile
individuare la natura di una clausola, ovvero se si
tratti di una disposizione regolamentare, dettata al
fine di disciplinare l'uso delle parti comuni, o si
tratti, al contrario, di una clausola contrattuale
che ponga dei vincoli all'uso delle parti private e
comuni, soprattutto nelle ipotesi in cui il vincolo
cada sull'uso delle parti comuni.
In effetti, qualora il limite a tenere animali fosse
stato circoscritto alle parti comuni la norma
avrebbe potuto assumere connotazione regolamentare e
presentare, pertanto, natura equivoca, mentre la sua
estensione alle abitazioni private ne fa assumere
sicura natura reale.
Normalmente, l'interpretazione delle clausole del
regolamento, che costituisce, a tutti gli affetti,
un contratto, è demandata al giudice di merito, per
cui la Cassazione può intervenire solo in caso di
illogica motivazione; nel caso in esame la Corte,
forse andando al di là dei suoi poteri, ha
direttamente interpretato la disposizione sulla base
di una censura del ricorrente (contestuale
violazione di legge e illogica motivazione) che, di
norma, implica l'inammissibilità del motivo. E' da
rilevare, inoltre, che la clausola di natura
contrattuale pone limiti anche nei confronti del
conduttore, il quale è tenuto ad uniformarsi al
regolamento ed il locatore che non agisca nei
confronti dell'inquilino che violi la norma ne
risponde di fronte al condominio (Cass. 11383/06)
che può ottenere il risarcimento del danno nei
confronti del condòmino-locatore.
Balconi in
condominio: il sottobalcone è parte comune.